Back on track: Design City Milano

Cielo limpido e vento autunnale: quel clima frizzante che ti spinge ad aumentare il passo per riscaldarti, con quella frenesia di recuperare il tempo perduto durante questa primavera che ha tenuto congelato l’imprescindibile appuntamento con la Design Week.

I sorrisi delle poche persone incontrate lungo le vie di Milano, sobria ma sull’attenti per questa insolita edizione di Design City, ci hanno riscaldato l’anima come era solito fare il tipico sole primaverile degli anni scorsi durante il Fuorisalone. 

Felici come bambine di poter partecipare ad un’iniziativa che sembrava andata persa per sempre per questo 2020, abbiamo vissuto questi giorni con quella voglia e quell’energia che si contrappone al generale assopimento che porta con sé questa stagione. 

Eppure dopo due giorni con scarpe comode e mascherine alla mano, siamo riuscite a portare a termine la nostra Design City: una missione che altri anni sarebbe sembrata assolutamente impensabile, anche durante una settimana.

Nelle nostre agende, prima di immergerci in quest’esperienza avevamo appuntato le nostre aspettative, che si potrebbero riassumere in queste righe:

“Mi aspetto una visione sostenibile, all’avanguardia, senza barriere: sicura che il digitale sarà la strada giusta da intraprendere. Il 2020 ci ha indicato il bisogno impellente di un cambio di rotta: abbiamo capito sulla nostra pelle cosa significa la tanto blasonata resilienza. Mi aspetto un’esperienza differente, magari più scarna ma più inclusiva. Mi aspetto una visione fresca e visionaria del design.”

Ma allora chi ha vinto?

Lo possiamo dire liberamente: non l’alternativo, non il nome che conta, non l’artigianalità ma nemmeno la tecnologia, perché chiariamo qui, tecnologia non è sinonimo di digitale.

Abbiamo sempre creduto nelle esperienze più di ogni altra cosa: i progetti devono regalare questo.

Proprio per questo, secondo il nostro punto di vista hanno vinto i brand e i designer che hanno fatto dello storytelling e dell’inclusività la loro arma vincente.

E’ così che Cimento, oltre che  i suoi prodotti di assoluta qualità ha messo in campo la propria capacità di raccontarsi

Con un’infinità di storie e prodotti tutti incamerati all’interno di una cornice perfetta, Strategic Footprints ci ha fatto sentire a casa.

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Nilufar Depot accoglie invece la mostra TERRA IN(FERMA) con le iper-pietre di Flavie Audie, che si raccontano lasciandoci ragionare silenziosamente sul dilemma della distorsione estetica digitale dei materiali.

Alla fine di questa Design City siamo tornate a casa senza aver intravisto scorci visionari.

Tuttavia ci ha riempito il cuore l’esserci sentite accolte ed incluse in una dimensione che si è mostrata molto più a misura d’uomo anche nelle realtà più grandi: crediamo che questo debba essere considerato oltre ogni cosa.

A carte scoperte, ora più che mai, ci sentiamo di sottolineare (e ammettiamo che non vedevamo l’ora di poterlo fare) solamente un punto: anche per il design l’era del digitale è ora, non nel futuro. 

Photo Credit:  fuorisalone.it, cimento.tech